I Luoghi del Cuore
Il censimento dei luoghi italiani da non dimenticare
LOCALITA' RENEUZZI VAL BORBERA

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CARREGA LIGURE, ALESSANDRIA

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C’è chi dice che Reneuzzi sia stato costruito da boscaioli lombardi, chi invece sostiene da gente in fuga delle coste a causa delle incursioni saracene provenienti dal mare o dai saccheggi dei vari eserciti che per secoli hanno attraversato in lungo e in largo il nostro Paese. Quello che si sa di certo è che Reneuzzi era arrivato a sfiorare le 200 anime, che aveva una sua osteria, una piccola scuola, nonché una chiesetta con relativo cimitero. Ma erano davvero così matti questi nostri antenati a costruire un paese proprio lì? Fermo restando il totale isolamento di Reneuzzi dal mondo, se si analizza meglio le motivazioni, sembrerebbe che la scelta del sito non fosse stata così casuale come potrebbe apparire, ma opportunamente ponderata e studiata. Intanto quella posizione di “mezzacosta” consentiva agli abitanti di avere sopra i prati, pascoli e fieno per gli animali, sotto invece i boschi, in particolare i castagneti, custodi di riti e consuetudini che sopravvivono all’incalzare del tempo. Gli anziani del castagno utilizzavano tutto: il frutto per produrre la farina e per mitigare lo spasmo della tosse, le foglie come lettiera per il bestiame, il legno come materiale da costruzione e per ricavare il tannino utile alla concia delle pelli. Tutto intorno al paese centinaia di terrazzamenti, rubati metro su metro alle asperità del terreno, consentivano ai contadini di coltivare frumento, patate, granoturco e ortaglie varie. Chiaramente non mancavano le sorgenti dalle quali attingere l’acqua sia per i campi che per uso personale e domestico, come non mancava mai l’acqua nel rio sottostante, che permetteva a ben 2 mulini di eseguire le operazioni di macinatura del grano e delle castagne, sia per la comunità di Reneuzzi e di Ferrazza, sia per i “vicini” paesi di Croso e di Campassi, situati sul versante opposto. Non dimentichiamoci infine che Reneuzzi era attraversato da antichi e importanti sentieri che collegavano, tramite l’Antola e il Passo delle Tre Croci, la Valbrevenna, la Val Trebbia e la Valle del Brugneto con la Valborbera e di conseguenza con la pianura padana. Insomma, con varie difficoltà, ma con tanto ingegno e non poca fatica, a Reneuzzi veniva praticata un’agricoltura di sussistenza che, bene o male, consentiva ai suoi abitanti di vivere, o per meglio dire, di sopravvivere… È giusto far notare che nella storia del paese, non hanno vissuto solamente gente dedita esclusivamente all’agricoltura o all’allevamento, ma anche persone che con quelle poche risorse che offriva il territorio, una manciata di strumenti e tanto ingegno, hanno dato vita a forme di architettura rurale correlate alle attività per la sopravvivenza del nucleo famigliare: cascine, seccherecci, mulini, terrazzamenti megalitici e carbonaie rappresentano l’humus culturale di una civiltà che affonda le sue radici nel passato. E soprattutto all’interno del borgo l’oratorio di San Bernardo, con il suo particolare campanile a vela e il portico di entrata costituito da un meraviglioso arco acuto; la casa “rotonda”, ossia una abitazione con un lato rotondo, in modo che il suo muro assecondasse la curva e consentisse alle lese (slitte trainate dai muli) di curvare e passare in modo regolare senza incontrare spigoli o angoli vivi; la stalla con un pregevole soffitto a volte e la colonna centrale e circolare tutta in pietra, a testimonianza della grande maestria di queste genti. E chissà quante altre bellezze e particolarità c’erano e sono crollate assieme ai muri, ai tetti e solai di oramai quasi tutte le case che componevano questo paese. (credit: estratto dall'articolo di Luciano Campanella che trovate qui: https://www.trekking.it/reportage/paesi-fantasma/?refresh_ce-cp) (credit foto: M.Tinello)

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C’è chi dice che Reneuzzi sia stato costruito da boscaioli lombardi, chi invece sostiene da gente in fuga delle coste a causa delle incursioni saracene provenienti dal mare o dai saccheggi dei vari eserciti che per secoli hanno attraversato in lungo e in largo il nostro Paese. Quello che si sa di certo è che Reneuzzi era arrivato a sfiorare le 200 anime, che aveva una sua osteria, una piccola scuola, nonché una chiesetta con relativo cimitero. Ma erano davvero così matti questi nostri antenati a costruire un paese proprio lì? Fermo restando il totale isolamento di Reneuzzi dal mondo, se si analizza meglio le motivazioni, sembrerebbe che la scelta del sito non fosse stata così casuale come potrebbe apparire, ma opportunamente ponderata e studiata. Intanto quella posizione di “mezzacosta” consentiva agli abitanti di avere sopra i prati, pascoli e fieno per gli animali, sotto invece i boschi, in particolare i castagneti, custodi di riti e consuetudini che sopravvivono all’incalzare del tempo. Gli anziani del castagno utilizzavano tutto: il frutto per produrre la farina e per mitigare lo spasmo della tosse, le foglie come lettiera per il bestiame, il legno come materiale da costruzione e per ricavare il tannino utile alla concia delle pelli. Tutto intorno al paese centinaia di terrazzamenti, rubati metro su metro alle asperità del terreno, consentivano ai contadini di coltivare frumento, patate, granoturco e ortaglie varie. Chiaramente non mancavano le sorgenti dalle quali attingere l’acqua sia per i campi che per uso personale e domestico, come non mancava mai l’acqua nel rio sottostante, che permetteva a ben 2 mulini di eseguire le operazioni di macinatura del grano e delle castagne, sia per la comunità di Reneuzzi e di Ferrazza, sia per i “vicini” paesi di Croso e di Campassi, situati sul versante opposto. Non dimentichiamoci infine che Reneuzzi era attraversato da antichi e importanti sentieri che collegavano, tramite l’Antola e il Passo delle Tre Croci, la Valbrevenna, la Val Trebbia e la Valle del Brugneto con la Valborbera e di conseguenza con la pianura padana. Insomma, con varie difficoltà, ma con tanto ingegno e non poca fatica, a Reneuzzi veniva praticata un’agricoltura di sussistenza che, bene o male, consentiva ai suoi abitanti di vivere, o per meglio dire, di sopravvivere… È giusto far notare che nella storia del paese, non hanno vissuto solamente gente dedita esclusivamente all’agricoltura o all’allevamento, ma anche persone che con quelle poche risorse che offriva il territorio, una manciata di strumenti e tanto ingegno, hanno dato vita a forme di architettura rurale correlate alle attività per la sopravvivenza del nucleo famigliare: cascine, seccherecci, mulini, terrazzamenti megalitici e carbonaie rappresentano l’humus culturale di una civiltà che affonda le sue radici nel passato. E soprattutto all’interno del borgo l’oratorio di San Bernardo, con il suo particolare campanile a vela e il portico di entrata costituito da un meraviglioso arco acuto; la casa “rotonda”, ossia una abitazione con un lato rotondo, in modo che il suo muro assecondasse la curva e consentisse alle lese (slitte trainate dai muli) di curvare e passare in modo regolare senza incontrare spigoli o angoli vivi; la stalla con un pregevole soffitto a volte e la colonna centrale e circolare tutta in pietra, a testimonianza della grande maestria di queste genti. E chissà quante altre bellezze e particolarità c’erano e sono crollate assieme ai muri, ai tetti e solai di oramai quasi tutte le case che componevano questo paese. (credit: estratto dall'articolo di Luciano Campanella che trovate qui: https://www.trekking.it/reportage/paesi-fantasma/?refresh_ce-cp) (credit foto: M.Tinello)
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