Il sito archeologico di Capo Don è situato sul limite occidentale di quello che oggi è il comune di Riva ligure. Occupa una fascia costiera pianeggiante non ancora ben delimitata, che si estende dal mare fin quasi alle pendici del Monte Grange. Il sito è stato oggetto di scavi a partire dal 1937 da parte del noto archeologo Nino Lamboglia. Dopo alcune indagini eseguite negli anni ‘80 e ‘90, gli scavi proseguono, dal 2009 ad oggi, ad opera del Pontificio Istituto di archeologia Cristiana (in regime di concessione), in collaborazione con la Soprintendenza per i beni archeologici della Liguria e il comune di Riva Ligure e sotto la direzione scientifica del prof. Philippe Pergola.
Il sito archeologico di Capo Don mostra le tracce di una frequentazione che risale al periodo preromano, si può definire un sito pluristratificato.
A pochi metri dal limite Ovest di questo sito, si estendeva anticamente il torrente Tabia, odierno torrente Argentina, oggi spostatosi più ad Ovest di qualche centinaio di metri. Le indagini archeologiche permettono di ipotizzare un uso a scopo commerciale di un approdo alla foce del torrente Tabia già a partire dalla seconda età del ferro, quando è sicuramente attivo un sito di altura sul versante interno del Monte Grange, successivamente occupato da una villa romana in parte scavata con scavo stratigrafico e in parte indagata con delle trincee nella parte sopra strada.
La villa risulta databile al II o I secolo a. C. e per essa si può ipotizzare una continuità insediativa che va fino al III o IV secolo d. C.
A partire dal 2009 sono state indagate le aree circostanti la basilica e sono state rinvenute tracce di piccole attività artigianali di lavorazione del vetro, ceramica e metalli, a lato di quello che sembra essere un asse viario che va in direzione Est-Ovest.
Gli scavi del 2014 hanno permesso di confermare l’identificazione di una stazione di sosta con l’importante approdo commerciale di Costa Balenae, del quale si fa menzione nelle cartografie antiche (es. Itinerario Marittimo, tabula Peutingeriana), e che grazie allo studio dei materiali si è scoperto avere rapporti commerciali con tutta l’area mediterranea, il Piemonte oltre che la zona dell’entroterra ligure e delle Alpi Marittime. La mansio di Costa Balenae è attiva almeno dal I secolo a. C. al VII secolo d. C. come si può vedere dai molti resti ceramici provenienti da tutto il mondo mediterraneo.
L’edificio di culto paleocristiano venne alla luce per la prima volta nel 1839, durante gli sterri per l’allargamento dell’attuale Via Aurelia. Il ritrovamento del battistero da parte di Nino Lamboglia nella campagna di scavo del 1937 permette di datare la prima fase della costruzione della basilica al VI secolo; il fonte battesimale è poco posteriore nella costruzione all’identico fonte del battistero di Albenga.
Il primo impianto doveva essere a tre navate, scandite da pilastri, con abside ad andamento esterno poligonale; presentava tre ingressi posizionati lungo il lato settentrionale e non in facciata, evidentemente per l’attrazione costituita dal passaggio, immediatamente a monte dell’edificio, di una viabilità principale, individuata a partire dal 2009.
Una seconda fase edilizia ha comportato la progressiva chiusura della navata Nord e la sua trasformazione in spazio funerario, occupato da un sepolcreto con tombe di varia tipologia che, sulla base dei rari elementi di corredo e di una epigrafe funeraria di età bizantina (stele di Maria), poi reimpiegata in una pavimentazione, raggiunse almeno il VII secolo.
Ad oggi le sepolture indagate sul sito di Capo Don sono più di 50 ma il lavoro che spetta agli archeologi è ancora lungo e necessita di finanziamenti per il futuro.
Il sito di Capo Don è un tassello di grande importanza per lo studio della Liguria preromana, romana e medievale, aiutateci a scoprirlo e a valorizzarlo.