I Luoghi del Cuore
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TORRE SARACENA O DEL CAVALLARO

TORRE SARACENA O DEL CAVALLARO

MARINA DI GIOIOSA IONICA, REGGIO CALABRIA

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TORRE SARACENA O DEL CAVALLARO
In passato era nota come Torre Borraca o Torre di Spina, attualmente è conosciuta con il nome di Torre del Cavallao, Torre Cavallara o Torre del Cavaliere. Il nome di Torre di Spina le deriva da quello di una casa feudale gioiosana, quella degli Spina appunto, fusasi nel secolo scorso con il casato dei Pellicano. Il nome di Torre del Cavallaro, invece, è dovuto al fatto che due vigili a cavallo, appunto i "cavallari", dovevano segnalare al torriero l'eventuale approssimarsi di masnade barbaresche. La tenuta in cui sorge, nei pressi della Stazione Ferroviaria lato mare, fu di titolarità del marchese Pier Doemnico Pellicano Spina, gran proprietario terriero della zona. Ufficialmente, la Torre è considerata come una fortezza del XVI secolo, ma secondo alcuni studiosi la sua fondazione risale in realtà ad età bizantina, ed è dovuta ad opera di uno stratega greco, il Generale Niceforo II Foca, il quale per arginare l'impeto delle orde saracene, attuò un dispositivo di torri costiere lungo i litorali della Calabria. Durante il dominio spagnolo, verso la metà del 1500, con il flagello delle invasioni turche, il marchese Don Fabrizio Pignatelli di Cerchiara, suo consigliere, attuò nella Vallata del Torbido il più potente sistema di apprestamenti difensivi all'epoca mai conosciuto: fece restaurare e ripristinare, rendendola agibile, la vecchia Torre Borraca, ponendola in collegamento, a fil d'aria, con l'aragonese Torre Galea, sita nell'immediato retroterra, nonché con le altre due torri di vedetta e difesa, cioè la Torre Elisabetta (o Torre die Giardini) e la Torre Vecchia. L'intero dispositivo militare, perciò, era costituito da quattro torri, a un miglio di distanza l'una dall'altra, in conformità ai dettami della poliocertica del tempo. La Torre, di forma cilindrica, rastremata nella sua metà superiore, è costituita in muratura ordinaria in calce e pietrame, nel suo tessuto edilizio incorpora materiale proveniente dall'adiacente teatro greco-romano. La parte inferiore dell'edificio è impostata a scarpa, mentre quella superiore, più snella, è provvista di reliquie monumentali; le due parti dell'edificio sono tra loro separate da una cordonatura lapidea, a gola rotonda, posta all'altezza della giusta metà del fortilizio. In alto, nel coronamento, correvano tutto intorno ai modiglioni i merli, a giro di mensole, come è dato rilavare dagli scarsi avanzi ancora esistenti nel lato Nord-Est. Nella base, la proticina d'ingresso, mentre nella parte superiore si trova un finestrone profilato litico, sormontato da un arco a tutto sesto. Probabilmente, la Torre era in collegamento visivo con gli analoghi apprestament difensivi dei centri costieri vicini, come la Torre dei Tamburi di Siderno, la Torre Pizzofalcone della Rocca di Rupella (Roccella Ionica) e la Torre di Camillari presso Caulonia.

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In passato era nota come Torre Borraca o Torre di Spina, attualmente è conosciuta con il nome di Torre del Cavallao, Torre Cavallara o Torre del Cavaliere. Il nome di Torre di Spina le deriva da quello di una casa feudale gioiosana, quella degli Spina appunto, fusasi nel secolo scorso con il casato dei Pellicano. Il nome di Torre del Cavallaro, invece, è dovuto al fatto che due vigili a cavallo, appunto i "cavallari", dovevano segnalare al torriero l'eventuale approssimarsi di masnade barbaresche. La tenuta in cui sorge, nei pressi della Stazione Ferroviaria lato mare, fu di titolarità del marchese Pier Doemnico Pellicano Spina, gran proprietario terriero della zona. Ufficialmente, la Torre è considerata come una fortezza del XVI secolo, ma secondo alcuni studiosi la sua fondazione risale in realtà ad età bizantina, ed è dovuta ad opera di uno stratega greco, il Generale Niceforo II Foca, il quale per arginare l'impeto delle orde saracene, attuò un dispositivo di torri costiere lungo i litorali della Calabria. Durante il dominio spagnolo, verso la metà del 1500, con il flagello delle invasioni turche, il marchese Don Fabrizio Pignatelli di Cerchiara, suo consigliere, attuò nella Vallata del Torbido il più potente sistema di apprestamenti difensivi all'epoca mai conosciuto: fece restaurare e ripristinare, rendendola agibile, la vecchia Torre Borraca, ponendola in collegamento, a fil d'aria, con l'aragonese Torre Galea, sita nell'immediato retroterra, nonché con le altre due torri di vedetta e difesa, cioè la Torre Elisabetta (o Torre die Giardini) e la Torre Vecchia. L'intero dispositivo militare, perciò, era costituito da quattro torri, a un miglio di distanza l'una dall'altra, in conformità ai dettami della poliocertica del tempo. La Torre, di forma cilindrica, rastremata nella sua metà superiore, è costituita in muratura ordinaria in calce e pietrame, nel suo tessuto edilizio incorpora materiale proveniente dall'adiacente teatro greco-romano. La parte inferiore dell'edificio è impostata a scarpa, mentre quella superiore, più snella, è provvista di reliquie monumentali; le due parti dell'edificio sono tra loro separate da una cordonatura lapidea, a gola rotonda, posta all'altezza della giusta metà del fortilizio. In alto, nel coronamento, correvano tutto intorno ai modiglioni i merli, a giro di mensole, come è dato rilavare dagli scarsi avanzi ancora esistenti nel lato Nord-Est. Nella base, la proticina d'ingresso, mentre nella parte superiore si trova un finestrone profilato litico, sormontato da un arco a tutto sesto. Probabilmente, la Torre era in collegamento visivo con gli analoghi apprestament difensivi dei centri costieri vicini, come la Torre dei Tamburi di Siderno, la Torre Pizzofalcone della Rocca di Rupella (Roccella Ionica) e la Torre di Camillari presso Caulonia.
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