Castello della Manta: da avamposto militare a culla delle arti

Castello della Manta: da avamposto militare a culla delle arti

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Castello della Manta: da avamposto militare a culla delle arti
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19 ottobre 2021

Sullo sfondo del Monviso si staglia una fortezza medievale che al suo interno custodisce una delle più stupefacenti testimonianze della pittura tardogotica profana, ispirata ai temi dei romanzi cavallereschi: il Castello della Manta.
«Il visitatore della Manta ne esce come colpito da una dolce, delicata e armoniosa atmosfera, assai diversa dal clamore che al giorno d’oggi ci attornia»

Così scriveva la nostra fondatrice Giulia Maria Crespi ricordando le sensazioni che si provano una volta lasciato il castello in provincia di Cuneo. Ci sono luoghi di una bellezza severa, che sanno farci ascoltare il silenzio in un modo nuovo, che ci restano addosso per la loro semplicità. Il Castello della Manta, donato al FAI da Elisabetta De Rege Provana nel 1985, è uno di questi. Sarà perché già in lontananza la sua sagoma fiera si staglia nel paesaggio con un distacco che invita alla contemplazione, sarà perché avvicinandosi si sentono nell’aria il profumo del bosco e la brezza leggera che scivola giù dalla cima aguzza del Monviso, o sarà perché al suo interno si può ammirare uno dei più importanti cicli di affreschi tardo gotici profani d’Europa e respirare la grandezza della storia dell’arte, tornata in luce con i restauri del FAI. La certezza è che saremo immersi in una magia che difficilmente dimenticheremo.

Da avamposto militare a culla delle arti

Il Castello della Manta sorge nel XIII secolo come fortificazione a difesa del vasto territorio del Marchesato di Saluzzo. Un antico Stato italiano, al confine con il Ducato di Savoia, che seppe ritagliarsi un ruolo chiave nel sistema geopolitico regionale, mantenendo l’autonomia per quasi quattro secoli, grazie ai legami politici e culturali con la vicina Francia.

L’epoca d’oro del Marchesato fu il XV secolo, quando venne istituito il feudo della Manta. Grazie a Valerano il Burdo, figlio naturale del marchese Tommaso III, diventò la culla delle arti e delle lettere. Fu Valerano a volere arricchire la Sala Baronale con i bellissimi affreschi che, oggi, costituiscono una testimonianza unica della cultura cavalleresca del tempo.

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I restauri. Un racconto che si rinnova negli anni

La Manta è un castello molto amato. In primis, lo fu da Elisabetta De Rege Provana che lo donò al FAI per assicurarne la protezione e il futuro. Necessitava di cure e di una manutenzione continua che potesse garantire la conservazione dei suoi affreschi. Inoltre, voleva che fosse aperto al pubblico, cosa che, infatti, avvenne nel 1986. Da quel momento si sono susseguiti restauri e interventi che hanno restituito nuovi ambienti e continue scoperte per i visitatori.

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Nell’ultimo decennio, sono state riaperte le sale quattrocentesche che ospitavano le biblioteche, sono state riallestite le «stanze rosse» e, grazie al contributo del Programma europeo Interreg ALCOTRA 2014-2020 nell’ambito del progetto di rete «Les Ducs des Alpes/I Duchi delle Alpi», è stata riportata all’originaria bellezza la Galleria delle Grottesche: celato per anni sotto un intonaco color ocra, è stato ritrovato il ciclo pittorico cinquecentesco a trompe l’oeil che decorava
le pareti, sono state riaperte le quattro finestre che affacciavano sulla corte interna e sono stati recuperati i pavimenti originali a finte tarsie marmoree. Un altro intervento ha riguardato il Salone degli Alberi, rinato grazie Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, che da molti anni affianca il FAI nella cura del Castello della Manta e che tra il 1998 e 2002 ha finanziato anche il restauro dell'antica Chiesa Castellana dedicata alla Vergine. La stanza è situata nella parte del castello eretta da Valerano, adiacente alle Biblioteche e alla Sala degli Eroi e delle Eroine. Lì sono state scoperte e riportate alla luce antiche decorazioni a motivo floreale, e grazie a un ambizioso lavoro di restauro l’ambiente è stato liberato dai tramezzi, inseriti in epoca recente, ed è stato demolito il soffitto per recuperare la leggibilità dei cicli nella loro interezza. Grazie ai successivi lavori sulle pareti sono affiorate altre aperture, alberi, decorazioni vegetali, un camino ed è emersa una scritta, una nuova storia da decifrare.

Infine oggi, grazie sempre a Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, si lavora al recupero del sorprendente pavimento del Salone delle Grottesche. Sotto scuri strati di cera sono state scoperte e ripristinate le decorazioni a finte tarsie marmoree cinquecentesche dagli inaspettati colori brillanti.

Chissà se nella visione della contessa Elisabetta c’era anche il recupero dell’antica «Via della Boschiva» che collega la pianura alla montagna, percorrendo i sentieri della collina? In ogni caso, adesso è realtà. Come lo sono i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria degli spazi esterni della Manta, i giardini e il bosco, sostenuti dalle aziende locali che si affiancano al FAI. O quelli per fare riscoprire il giardino esotico e per sistemare gli spazi verdi, che un tempo ospitavano
la vign
a. Occasioni concrete per offrire ai visitatori nuove chiavi di lettura e punti di vista per conoscere questi luoghi senza tempo.

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