21 aprile 2017
"L'archeologo somiglia al saggio investigatore, che si avvale di un metodo universale e di tanti specifici sussidi. Ma somiglia anche a un direttore d'orchestra, a cui non sfuggono suoni imperfetti di archi, arpe, legni, ottoni e percussioni; o piuttosto a un regista, al quale non sfugge il dettaglio errato di un vestito o l'incongruità di un arredo. Perciò l'archeologia deve trattare tutti gli oggetti e tutte le relazioni fra di essi, includendo tutti i saperi utili. Altrimenti si resta abbracciati al frammento o poco più, come un naufrago al suo pezzo di legno".
È dunque "la rete delle relazioni che alle cose conferisce reciproca attrazione, congruità, significato e valore" ossia quella "forza del contesto" che dà titolo al volume e che costituisce quella forma mentis propria dell'archeologo militante a essere oggi fondamentale per riflettere e intervenire per la tutela dei beni culturali. Utilizzare la categoria "contesto" significa guardare al paesaggio italiano non come a un "museo diffuso", semplice somma di parti, ma interpretare il patrimonio culturale del nostro Paese come un vero organismo che connette luoghi, storie e persone di ieri e di oggi.
Un'esperienza che Andrea Carandini ha avuto modo di vivere come studioso, professore emerito di archeologia e presidente del FAI. La seconda parte del volume è infatti dedicata al suo incarico nella Fondazione e alla direzione che essa sta intraprendendo nel panorama della tutela e della valorizzazione dei Beni Culturali.
Fare rete. Creare connessioni. Raccontare storie, o ancora ricorrere allo story-telling per promuovere prodotti e servizi culturali. Parole e spunti attuali del dibattito contemporaneo acquisiscono valore e spessore in questo racconto autobiografico il cui obiettivo è narrare come quella del contesto sia oggi una categoria metodologica imprescindibile per comprendere e intervenire in maniera efficace nello scenario della tutela e della valorizzazione del patrimonio d'arte e natura del nostro Paese.