E’ il manufatto romano più cospicuo della Sardegna, sopravvissuto alle spoliazioni e agli scempi anche recenti. Occupava uno spazio più vasto di quello attuale delimitato dalla cancellata che lo separa ad est dall’Ospedale San Giovanni di Dio, progettato da Gaetano Cima, e dalla via Anfiteatro; ad ovest dal Viale Sant’Ignazio da Laconi; a meridione dall’Orto Botanico; a settentrione dal Viale Beato fra Nicola da Gesturi. Ubicato in periferica da cui principiava il suburbio a monte della zona dove si identificano il municipium e la zona residenziale della città romana (quartiere Stampace), in prossimità del porto dove era di stanza un distaccamento della flotta misenate. Non distante dall’ insediamento punico di Sant’Avendrace che persisteva e dagli aggregati rurali con le relative necropoli. Lo schema differiva poco da quello delle “arenes” delle città di provincia in cui stazionavano militari che ebbero grande diffusione tra la fine del I secolo av. C. e il I secolo d. C.. Scavato in parte nella roccia ed integrato con strutture – di cui persistono brani in opera cementizia ammorsati alla roccia - ha l’ellisse maggiore orientata N/NE - S/SW. L’arena, in cui si svolgevano gli spettacoli era chiusa da un muro che la separava dalla cavea declinata in tre ordini a seconda della classe sociale degli spettatori che accedevano ai posti tramite passaggi (ambulacra) e accessi (vomitoria). Riusato dalla fase tardo antica come castrum e habitat rupestre, fu spogliato nel tempo del tutto delle porzioni in opera e, in parte, delle gradinate scavate nella roccia. Il primo scavo archeologico lo si deve a Giovanni Spano che favorì l’acquisto dell’area da parte del Comune.