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TORRE SAN GREGORIO - L'APPRODO DI VERETO

TORRE SAN GREGORIO - L'APPRODO DI VERETO

MARINA SAN GREGORIO, LECCE

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TORRE SAN GREGORIO - L'APPRODO DI VERETO
Le evidenze archeologiche esistenti a San Gregorio sono note fin dal 1971, quando si effettuarono i primi sopralluoghi che misero in luce i resti delle infrastrutture di servizio all’antico approdo: una cisterna, una sorgente per l’approvvigionamento di acqua dolce, camminamenti e banchine che raggiungevano l’attracco. Le evidenze monumentali ancora conservate si trovano alla base del pendio che caratterizza il piccolo promontorio di San Gregorio, ben visibili nell’area meridionale della baia; si tratta di due porzioni di strutture murarie realizzate in blocchi squadrati di calcarenite locale. Il primo tratto murario è ubicato lungo il declivio, perpendicolarmente alla linea di costa; ha una lunghezza di 12,50 m e orientamento Nord-Ovest/Sud-Est ed è costituito da quattro filari di blocchi di dimensioni variabili messi in opera a secco, direttamente sul banco roccioso grossolanamente lisciato per accogliere il filare di posa. Del secondo allineamento, parallelo alla linea di costa, si conserva un tratto costituito da cinque blocchi posti su due filari, resto di una struttura molto più consistente che doveva fiancheggiare la riva meridionale dell’insenatura seguendo un percorso più o meno rettilineo. All’imboccatura della baia, ad una profondità di circa 4 metri dall’attuale livello del mare, si conserva un’opera frangiflutti, oggi completamente sommersa, orientata in direzione Nord-Ovest/Sud-Est. La struttura, a pianta ovoidale, è costituita da una gettata di pietre sciolte nella parte maggiormente conservata è larga oltre 50 m ed è lunga circa 80; in alcuni punti si leva dal piano di posa fino a 2 m di altezza; la cresta si trova tra -1,5 e -2 m dall’attuale pelo dell’acqua, ma originariamente parte della struttura doveva probabilmente emergere dall’acqua in modo da non rappresentare un pericolo per la navigazione, confermando l’unitarietà del programma di realizzazione delle opere portuali. Si può pensare che il mare abbia spazzato via la parte più alta, ma occorre considerare anche una variazione del livello del mare che, al momento della costruzione dell’antemurale doveva essere inferiore di circa 2 metri. La presenza di materiale fittile di età ellenistica e tardorepubblicana tra il pietrame della struttura, oltre che sulla sua superficie, sembrerebbe suggerire una contemporaneità con le evidenze a terra. Protetta dai venti, fornita di sorgenti, la baia di San Gregorio dovette essere frequentata anche prima dell’età ellenistica, come altre piccole insenature del Capo di Leuca, da navi che percorrevano la rotta Grecia-Italia, e nel II secolo acquisisce la fisionomia di approdo organizzato, da leggere in stretta connessione all’insediamento interno. San Gregorio si configura dunque come lo scalo vero e proprio di Vereto, a carattere preminentemente mercantile. Le ricognizioni subacquee hanno permesso inoltre di conoscere, con il recupero dai fondali dell’insenatura di abbondante materiale soprattutto anforario appartenente a diverse classi e differenti contesti geografici di provenienza, le successive fasi di utilizzo dell’approdo, documentabile almeno fino all’età tardoantica. I pochi, ma significativi reperti collocabili tra IV e VI secolo, si allineano con le altre numerose testimonianze di vitalità economica del territorio salentino nei secoli finali dell’Impero e, per il Salento meridionale, ancora nell’alto Medioevo. La forte vocazione marittima della baia è poi ancora testimoniata dalle incisioni rinvenute nella Grotta dei Tarantini, piccola cavità che si apre alle pendici del promontorio in proprietà privata, sulle cui pareti sono visibili numerosissimi segni incisi che si intersecano e si sovrappongono, tra i quali sono riconoscibili alcune croci, la data 1768, e numerose immagini di imbarcazioni a vela triangolare identificate con galere settecentesche.

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Le evidenze archeologiche esistenti a San Gregorio sono note fin dal 1971, quando si effettuarono i primi sopralluoghi che misero in luce i resti delle infrastrutture di servizio all’antico approdo: una cisterna, una sorgente per l’approvvigionamento di acqua dolce, camminamenti e banchine che raggiungevano l’attracco. Le evidenze monumentali ancora conservate si trovano alla base del pendio che caratterizza il piccolo promontorio di San Gregorio, ben visibili nell’area meridionale della baia; si tratta di due porzioni di strutture murarie realizzate in blocchi squadrati di calcarenite locale. Il primo tratto murario è ubicato lungo il declivio, perpendicolarmente alla linea di costa; ha una lunghezza di 12,50 m e orientamento Nord-Ovest/Sud-Est ed è costituito da quattro filari di blocchi di dimensioni variabili messi in opera a secco, direttamente sul banco roccioso grossolanamente lisciato per accogliere il filare di posa. Del secondo allineamento, parallelo alla linea di costa, si conserva un tratto costituito da cinque blocchi posti su due filari, resto di una struttura molto più consistente che doveva fiancheggiare la riva meridionale dell’insenatura seguendo un percorso più o meno rettilineo. All’imboccatura della baia, ad una profondità di circa 4 metri dall’attuale livello del mare, si conserva un’opera frangiflutti, oggi completamente sommersa, orientata in direzione Nord-Ovest/Sud-Est. La struttura, a pianta ovoidale, è costituita da una gettata di pietre sciolte nella parte maggiormente conservata è larga oltre 50 m ed è lunga circa 80; in alcuni punti si leva dal piano di posa fino a 2 m di altezza; la cresta si trova tra -1,5 e -2 m dall’attuale pelo dell’acqua, ma originariamente parte della struttura doveva probabilmente emergere dall’acqua in modo da non rappresentare un pericolo per la navigazione, confermando l’unitarietà del programma di realizzazione delle opere portuali. Si può pensare che il mare abbia spazzato via la parte più alta, ma occorre considerare anche una variazione del livello del mare che, al momento della costruzione dell’antemurale doveva essere inferiore di circa 2 metri. La presenza di materiale fittile di età ellenistica e tardorepubblicana tra il pietrame della struttura, oltre che sulla sua superficie, sembrerebbe suggerire una contemporaneità con le evidenze a terra. Protetta dai venti, fornita di sorgenti, la baia di San Gregorio dovette essere frequentata anche prima dell’età ellenistica, come altre piccole insenature del Capo di Leuca, da navi che percorrevano la rotta Grecia-Italia, e nel II secolo acquisisce la fisionomia di approdo organizzato, da leggere in stretta connessione all’insediamento interno. San Gregorio si configura dunque come lo scalo vero e proprio di Vereto, a carattere preminentemente mercantile. Le ricognizioni subacquee hanno permesso inoltre di conoscere, con il recupero dai fondali dell’insenatura di abbondante materiale soprattutto anforario appartenente a diverse classi e differenti contesti geografici di provenienza, le successive fasi di utilizzo dell’approdo, documentabile almeno fino all’età tardoantica. I pochi, ma significativi reperti collocabili tra IV e VI secolo, si allineano con le altre numerose testimonianze di vitalità economica del territorio salentino nei secoli finali dell’Impero e, per il Salento meridionale, ancora nell’alto Medioevo. La forte vocazione marittima della baia è poi ancora testimoniata dalle incisioni rinvenute nella Grotta dei Tarantini, piccola cavità che si apre alle pendici del promontorio in proprietà privata, sulle cui pareti sono visibili numerosissimi segni incisi che si intersecano e si sovrappongono, tra i quali sono riconoscibili alcune croci, la data 1768, e numerose immagini di imbarcazioni a vela triangolare identificate con galere settecentesche.
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