Più Stato e più privato sociale: una riflessione

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Più Stato e più privato sociale: una riflessione
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12 novembre 2019

Il FAI cura, promuove e vigila sul patrimonio storico, artistico e paesaggistico italiano, agendo da privato, al fianco dello Stato, nello spirito della “sussidiarietà” indicata dagli articoli 9 e 118 della Costituzione della Repubblica.

Non è la prima volta che Tomaso Montanari dedica le sue attenzioni al FAI. Questa volta lo fa con un intervento su un blog, a proposito del libro di Alberto Saibene, Il Paese più bello del mondo. Il Fai e la sfida per un’Italia migliore (Utet 2019), che, per sua stessa ammissione, non ha letto (singolare maniera di affrontare un libro!), ma di cui parla prendendo le mosse da una recensione di Antonella Tarpino apparsa sullo stesso blog. Del resto parlare di qualcosa senza conoscerla, utilizzando fonti di seconda o terza mano, è uno dei mali della cultura e della politica (e non solo) dei nostri tempi, utile se si preferisce la polemica, la criminalizzazione dell’avversario, il tifo da stadio all’analisi dei fatti, al ragionamento, al confronto costruttivo.

Bisogna riconoscere, però, che in questa occasione Montanari è stato molto più bendisposto e tollerante, lui che di solito ha certezze granitiche ed è pronto, novello Tomás de Torquemada, a inquisire e condannare al rogo chiunque non ne condivida le idee. Ha, infatti, espresso apprezzamenti a proposito dell’impegno del FAI nel recupero e nella gestione di molti beni culturali donati da privati, riconoscendo che

«conservandoli e aprendoli ai cittadini il Fondo svolge un’azione davvero “sussidiaria” a quella dello Stato, un’azione preziosa per la quale tutta la nazione dev’essere grata: perché sospinge questi luoghi monumentali verso una dimensione pubblica, “remando” nel senso storico della Costituzione».

Ciò che non gli va giù è l’intervento del FAI quando si tratti di beni culturali statali o, comunque, pubblici, e cita, a tal proposito, gli esempi di Parco Villa Gregoriana a Tivoli e del Giardino della Kolymbethra nella Valle dei Templi di Agrigento. Esempi in realtà molto virtuosi, perché è bene ricordare che entrambe queste due straordinarie realtà erano in condizioni di assoluto degrado e abbandono prima dell’intervento del FAI, che non ha agito di sua iniziativa ma è stato fortemente sollecitato a intervenire, soprattutto per iniziativa di esponenti delle comunità locali e di personalità della società civile. Il FAI, infatti, non ha manie egemoniche ed espansionistiche, ma dichiara la sua disponibilità quando è sollecitato a occuparsi di beni che altrimenti andrebbero persi.

Nel caso di Parco Villa Gregoriana, da anni chiuso e abbandonato, inaccessibile a causa di frane, divenuto una sorta di discarica (impressionante la quantità di rifiuti, biciclette, copertoni, lavatrici e altri materiali che fu necessario portare via), addirittura una fogna a cielo aperto, tanto che i liquami scorrevano ormai nella cascata cosiddetta del Bernini e olezzi insopportabili impedivano ogni possibile accesso (una fogna aggiuntiva fu realizzata solo dopo le insistenze del FAI), fu in particolare l’economista Luigi Spaventa a sollecitare l’iniziativa del FAI, tanto che nel giorno dell’inaugurazione scrisse questa frase memorabile, che da sola smonta le critiche di chi sembrerebbe preferire il degrado gestito dal pubblico a un bene comune restituito alla pubblica fruizione per iniziativa di cittadini organizzati:

«Sulla piana, il mondo antico della Villa di Adriano. In alto, la gloria del tardo rinascimento della Villa degli Este. Più in là, la villa Gregoriana: tappa obbligata del Grand Tour romantico. Le altre due ville furono restaurate e curate. Quella Gregoriana fu abbandonata al degrado della negligenza pubblica e dall’inciviltà privata. Fu infine chiusa con rugginosi lucchetti e negata all’attenzione di increduli visitatori. Fino a quando il FAI decise di intervenire. In meno di un anno e mezzo (non avrei scommesso), un lavoro improbo di architetti, di botanici, di maestranze, ci ha restituito la Villa nella sua selvaggia bellezza: selvaggia, ma curata, selvaggia, ma pulita. Papa Gregorio XVI riposa tranquillo; la sibilla è placata, il Grand Tour può riprendere; il FAI ha compiuto l’opera, una delle maggiori fra le sue tante: speriamo che gli uomini sappiano educarsi a conservarla e meritarla».

Ancor più emblematico è il caso della Kolymbethra, un agrumeto storico siciliano che un anziano contadino, il signor Antonino Vella, “u zzì Ninu”, aveva curato personalmente per anni (anche lui, quindi, un “privato cittadino” impegnato nella conservazione di un bene comune), finché, ormai impossibilitato a causa dell’età avanzata, l’aveva dovuto abbandonare. E quel luogo meraviglioso, ricco di testimonianze archeologiche e di "impianti idrici " di 2.500 anni fa, fu rapidamente riconquistato dai rovi ad opera della “natura” e trasformato in discarica a cielo aperto dagli uomini. Finché grazie alle preghiere di “u zzì Ninu” e all’interessamento di un agronomo siciliano, intervenne il FAI, con il pieno sostegno dell’allora soprintendente Graziella Fiorentini, eroica figura alla quale si deve la salvezza della Valle dei Templi. Ecco come si giunse a un comodato gratuito, con gli oneri economici e finanziari di tutte le attività previste, dai lavori di recupero alla manutenzione del bene, alle attività di fruizione, interamente a carico del FAI che negli anni ha reperito i finanziamenti necessari da fondazioni, aziende e privati. Oggi la Kolymbethra è uno dei luoghi più vivi e visitati (da turisti e soprattutto dai cittadini) di Agrigento, collabora attivamente e virtuosamente con il Parco della Valle dei Templi e contribuisce non poco allo sviluppo di un’economia sana e pulita in quel territorio; l'agrumeto produce quintali di arance, mandarini e limoni con i quali si producono anche squisite marmellate che vengono vendute in tutta Italia e i cui proventi contribuiscono agli alti costi di manutenzione del podere sito tra il tempio dei Dioscuri e quello di Vulcano. Si chieda ai cittadini di Agrigento se desiderano che il FAI si ritiri e abbandoni la Kolymbethra.

Davvero si può pensare che nel nostro Paese, che detiene un patrimonio ricchissimo e diffuso dappertutto (carattere che alcuni retoricamente sottolineano continuamente), anche nei borghi e nei luoghi interni, sperduti e impervi, sia pensabile che questo patrimonio possa essere gestito direttamente e esclusivamente dallo Stato? Davvero si può credere che se non fosse intervenuto il FAI a Tivoli o ad Agrigento (e in tanti altri luoghi, si pensi ora a quel gioiello dell'Abbazia Santa Maria di Cerrate in Puglia) quei beni sarebbero stati recuperati e restituiti alla fruizione? Se fosse così semplice, perché non accade nelle centinaia-migliaia di altri beni abbandonati?

Il Parco dei Campi Flegrei ha appena pubblicato due bandi che rappresentano una straordinaria, importante, novità, perché prevedono forme di partenariato pubblico-privato per riaprire e far vivere due splendidi monumenti, la Piscina Mirabilis e il Tempio di Serapide: anche in questo caso dovremmo denunciare lo «Stato in ritirata»? Assolutamente no! C’è uno Stato che fa qualcosa di ancora più importante, perché cerca di creare le condizioni per la nascita e la crescita di un’imprenditoria culturale locale, stimolando iniziative dal basso.

In questo senso un ruolo importante può e deve svolgere, anche nel campo del patrimonio culturale, il Terzo Settore, per il quale finalmente dispone di uno specifico Codice (d.lgs. 117/2017), che, regolamenta

«l'autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l'inclusione e il pieno sviluppo della persona, a valorizzare il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione degli articoli 2, 3, 4, 9, 18 e 118, quarto comma, della Costituzione».

Anche questa legge va ricordata a chi continua a confondere Stato e Repubblica nelle strumentali letture dell’articolo 9 della Costituzione, che affida la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico e la promozione dello sviluppo della cultura alla Repubblica (e non solo allo Stato), a chi ignora l’art. 114 primo comma (“La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”) e l’art. 118, quarto comma (“Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”).

Il FAI non vuole meno Stato e più privato. Vuole più Stato e più privato sociale. Con uno Stato (ma lo stesso vale per Regioni e Comuni) che non deroghi ai propri doveri, ma che svolga soprattutto una funzione di indirizzo, di controllo, di valutazione, fissando regole trasparenti e facendole rispettare. Si tratta, cioè, di abbandonare definitivamente quella pericolosa concezione “proprietaria”, che è alla base anche di un vero conflitto di interesse tra indirizzo-controllo e gestione e di favorire le tante energie e creatività presenti nei vari territori, sostenere la nascita e il consolidamento di mille iniziative diverse, indirizzandole, coordinandole, monitorandole. Sarebbe questo un modo per far sviluppare numerose nuove occasioni di lavoro qualificato, in particolare per i tanti giovani formati nelle Università.

È, infatti, assai discutibile la maniera semplicistica e demagogica adottata da Montanari di affrontare la questione del lavoro dei professionisti del patrimonio, di cui evidentemente mira a proporsi come “paladino”, speculando sulle difficoltà di tanti giovani.

Davvero pensa che il problema della carenza di occupazione nel campo del patrimonio culturale sia rappresentato dal FAI e, più in generale, dal volontariato? Ritiene che se, per assurdo (ed effettivamente sarebbe un’assurdità!), d’improvviso scomparisse il FAI, si creerebbero migliaia di posti di lavoro? La prima cosa che verrebbe meno sarebbero gli oltre oltre 255 posti di lavoro dei dipendenti del FAI, assunti con regolare contratto, prevalentemente laureati, professionisti della cultura, giovani e donne.

La battaglia per il pieno riconoscimento delle professioni del patrimonio culturale, per i diritti e la dignità di chi lavora nel campo della cultura, per le garanzie di un riconoscimento sociale dovrebbe essere una battaglia comune: e il FAI è pronto a essere in prima linea.

La grave mancanza di lavoro, la prevalenza del lavoro precario, poco garantito e spesso sottopagato provoca insoddisfazioni e incertezze, sollecita diffidenze e rancori (che alcuni cercano di cavalcare strumentalmente). È però un clamoroso errore cercare e istigare una contrapposizione tra professionisti e associazioni di volontariato, che svolgono una funzione importante per sensibilizzare la cittadinanza attiva, per sollecitare la classe politica e l’intera opinione pubblica ai temi del patrimonio culturale. In tal modo contribuiscono anche a sviluppare le condizioni per costruire occasioni di lavoro nel campo della cultura. In campo medico i volontari non sostituiscono i medici o gli infermieri, ma svolgono tante attività di supporto e si impegnano anche in significative raccolte di fondi per la ricerca. Il FAI non può che essere alleato dei professionisti del patrimonio culturale; il contrario sarebbe semplicemente impossibile.

In quanto al fatto, infine, che una fondazione privata non possa assicurare un’adeguata ricerca scientifica affidiamo la risposta alla recente apertura al pubblico dell'Orto sul colle dell'Infinito a Recanati, inaugurato dopo un lungo restauro del FAI dal Presidente Mattarella, dove la visita al vero e proprio orto in cui Leopardi ebbe l'ispirazione a scrivere il celebre Idillio è preceduta da una complessa ma comprensibile a tutti "visita guidata dentro una poesia" (un racconto multimediale con testi e immagini di 20 minuti) scritta e realizzata dal FAI che ha recentemente raccolto l'unanime plauso dei più celebri leopardisti italiani che 15 giorni fa si sono ritrovati a Recanati per un convegno dedicato all'Infinito.

Forse se oltre a leggere un libro prima di scriverne Montanari conoscesse più da vicino le attività del FAI e i Beni che restaura e gestisce non cadrebbe in giudizi lontani dalla realtà.

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